E-Campus attiva il percorso "Influencer" nell'ambito della laurea in Scienze della Comunicazione. Ed è subito dibattito.
Iniziamo con il dire che è solo e soltanto una astuta, quanto secondo noi dannosa, mossa commerciale per fare cassa: nulla è come sembra e se date uno sguardo ai titoli che ci sono in giro ne uscirete fuorviati. Non esiste una laurea per gli influenzatori, è tutta fuffa, ora vi diciamo perchè.
In apertura va fatta una considerazione: qual è il motivo reale per cui le persone si laureano?
Per essere definiti "dottori" in un certo campo. E che cosa vuol dire, nel concreto? Che hanno un titolo che certifica che hanno fatto un determinato percorso di studi. Quindi è il celeberrimo pezzo di carta il vero obiettivo: un documento rilasciato da un ente riconosciuto che attesta che si è in possesso di determinate conoscenze. Beh, chi più, chi meno. Ci sono i medici cani, gli avvocati cani, come ci sono delle levatrici che ne sanno molto di più del ginecologo. Ma il punto è che se mi iscrivo a una facoltà è perchè voglio dire alla società che ho studiato certe cose. Se lo facessi da solo, per esempio seguendo le lezioni in aula senza iscrivermi, oppure senza sostenere l'esame finale, la tesi, nessuno potrebbe provarlo. In effetti a noi che cosa ha lasciato il tempo passato sui libri, se non delle basi, degli spunti e delle fonti sui quali abbiamo poi dovuto costruire delle competenze sul campo? Qui risiede la drammatica urgenza di comprendere perché il corso in oggetto sia stato disciplinato da una laurea e non da un corso di (alta) formazione.
Detto questo, i titoli di giornale di questi ultimi giorni farebbero supporre che il percorso da influencer vada a certificare delle "capacità acquisite" per gridare al mondo che si sa influenzare.
Incuriositi dal clamore abbiamo approfondito per capire di che cosa stiamo realmente parlando, nei confronti di chi andrebbe mostrata suddetta certificazione e se il percorso di studi ha un taglio pratico o teorico.
Il ragionamento è che il primo interlocutore del pezzo di carta è un potenziale datore di lavoro. Solo che al momento gli unici datori di lavoro di un influencer sono le agenzie per gli influencer, le quali si limitano a ingaggiarti esattamente come si fa con le modelle. Quella dell'influencer infatti è una nuova professione e quindi richiede un percorso di autoimprenditorialità. Detto questo, ci aspettiamo quindi che dietro alla denominazione di "corso in influencer" si celi un piano di studi votato agli aspetti pratici e ai laboratori, possibilmente con veri influencer e a un tirocinio presso agenzie. Se il futuro commercialista studia la partita doppia, allora il futuro influencer deve studiare le tecniche per influencer.
Questo è il piano di studi effettivo, tratto dal blog di E-Campus:
Sorpresa! Appare assolutamente in linea con un qualsiasi piano di studi di Scienze della Comunicazione. Non vi sono corsi pratici innovativi, soltanto due esami di moda che ci fanno pensare all'obiettivo ambizioso di una schiera di dottori fashion blogger (e poi perchè non food? E perchè non luxury influencer?). Quali sono gli esami che forniscono, come è nella mission dichiarata di E-Campus, una competenza pratica, spendibile immediatamente sul campo? La spiegazione sta nel fatto che tutto ciò è solo e soltanto una operazione di immagine.
Lo dichiara lo stesso ateneo:
Questo corso di laurea ha pertanto l’obiettivo di preparare una figura in grado di esercitare la propria attività in maniera professionale, svincolandosi da quella mancanza di rigore e dall’utilizzo di cattive pratiche che penalizzano chi aspira al ruolo di influencer ma non ha un’adeguata preparazione per avvicinarsi con competenza a questo settore.
In pratica: se fra le varie cose vuoi potenziare il tuo profilo Instagram dal tuo divano, almeno sappi che cosa c'è dietro. Il resto però lo fai da solo.
Sommo gaudio: sarebbe stato davvero preoccupante scoprire che il corso era costruito prevalentemente su laboratori pratici e sulle nuove tecnologie, andando a inquinare una materia, Scienze della Comunicazione, che fa dell'analisi sociologica e delle tecniche professionali, come il giornalismo, dei baluardi. È altresì un' eredità, come è arci-noto, di Umberto Eco. Il Professore istituì questo corso già nel 1992. Nel corso tempo, per fare pesca a strascico di studenti, le università italiane fecero anche degli scivoloni che, ecco, si collegano molto bene al discorso di oggi. Parliamo di lauree honoris causa gettate a casaccio come sementi sul campo per procacciarsi dei testimonial fortissimi aggratis:
In particolare quella a Vasco Rossi e quella a Valentino Rossi entrambe del 2005. L’intento autopromozionale delle università appariva evidente: piazzando un prodotto come Vasco o come Valentino nelle corde dei media si intendeva offrire una ribalta agli stessi corsi di studio, e attraverso questi alle università di insediamento.
Più iscrizioni uguale più budget. (...) Perché tra tutte le facoltà esistenti in Italia si scelse proprio Scienze della Comunicazione per laureare quelle celebrità? Perché – si disse – i due Rossi sapevano comunicare. In che senso?
(Stefano Cristanti, "Scienze della Comunicazione in Italia, tra amenità e simulazioni", Rivista di Scienze Sociali, 28 ottobre 2011)
L'influencer è proprio così: una persona che, in qualche modo, sa comunicare. Allora conosce delle tecniche che si possono imparare? No, perchè a volte la sua popolarità è del tutto casuale. Le tecniche gli serviranno poi, per monetizzare questa popolarità e se è un idiota completo di solito non farà altro che continuare a filmare le proprie idiozie e al resto ci penseranno i professionisti (le agenzie di comunicazione). È proprio qui vediamo il pericolo: se dichiariamo che si può DIVENTARE influencer (quindi famosi) studiando, si alimenta il mito di tanti 16, 17 enni instagrammer che verranno vomitati in strada dalla scuola dell'obbligo e chiederanno a gran voce di frequentare quel corso con mire diverse da quelle della pura cultura, rimanendo poi delusi perchè l'apprendimento che pensavano essere strumentale all'ascesa in realtà a loro non ha spiegato come acquisire nuovi follower. Mentre E-Campus non fa altro che vendere un prodotto, loro paragoneranno anonimi personaggi di quel circo fotografico a dei veri dottori, volendo diventare come loro, volendo avere successo come loro. Ci sarà un progressivo deterioramento delle ambizioni culturali della generazione dei duemila, quella del "voglio fare il calciatore", perchè almeno per diventare il nuovo Ronaldo (soldi, estetista, feste e f* ovunque) ci si deve allenare duramente e fare gol.
L'azione di E-Campus è stata: quella degli influencer è un trend. A loro non è interessato il contenuto di una disciplina e lo dimostra incontrovertibilmente il fatto che non abbiano puntato su un contenuto strutturato di analisi del fenomeno e non abbiamo "inventato" materie di reale approfondimento. Il ragionamento è stato solo: usciamo con un nuovo prodotto che tiri parecchio. Dai, facciamo gli influencer: il primo che lancia questo corso, in Italia, si prende tutti i ragazzini.
Sì, ma il primo che lancia questo corso crea anche un pericoloso precedente. Perchè lo sdogana e dà il via agli altri. Mi pare ovvio che la prossima imminente conseguenza sarà, per esempio, un master di I livello di piccole università pubbliche affamate di iscritti. Penso quindi alle cittadine, quelle con le università a rischio chiusura, che devono attirare studenti rubandoli ai grandi centri vicini e che con una roba così si garantiranno una loro unicità. Le grandi università italiane, invece, non potranno e non vorranno essere escluse dal "dibattito" e sentiranno il bisogno di istituire dei corsi nella stessa materia, magari con un punto di vista baronale, dotto e senatorio. Immagino quindi non una "Laurea da influencer", ma una laurea in - per esempio - Scienze della Comunicazione a indirizzo "professioni nei nuovi media - influencer" dove si mescolano sociologia e filosofia con spruzzate di digitale e hashtag un po' ovunque, come la panna sulla carbonara per legare il tutto. Quelle cose che quando te le trovi nel piatto ti sembrano una americanata.
Concludiamo ora riflettendo sulle conseguenze reali di tutto questo. All'inizio abbiamo definito "dannosa" questa novità. Mentre noi ne parliamo con consapevolezza, mucchi di ragazzini percepiscono soltanto questa associazione: laurea/influencer. Se un fenomeno (naturale e talvolta casuale) diventa una professione, se una professione entra in aula e viene certificata, allora l'influencer è una persona di mestiere, una persona esperta, un dottore. La venerazione di questi giovani salirà alle stelle. E poi, vuoi mettere la matematica finanziaria, quando puoi studiare Nozioni base di Instagram? Gli obiettivi si sposteranno dalle professioni utili alle professioni inutili. Questo concetto, che forse esprimiamo in modo categorico e rude, non può non trovare d'accordo molti di voi.
Ci sono dei mestieri di utilità sociale e mestieri che non lo sono. In una economia del baratto, per esempio nel villaggio dei Puffi, l'influencer non servirebbe a una beneamata *cosa* (#dirtytalk #sicily #siciliano).